Bilderatlas, un segreto che ci parla di un segreto
“Una fotografia è un segreto che parla di un segreto. Più racconta, meno è possibile conoscere.”
Bilderatlas – una produzione di Circolo Bergman in scena a Zona K Milano dal 15 al 18 Novembre. Bilderatlas è una performance teatrale che, attraverso linguaggi ed elementi comunicativi e artistici diversi, esplora e indaga attraverso storie marginali l’essenza che lega al loro interno e tra loro queste storie personali, rimandandole a qualcosa di più universale, antico e profondo. Nel web le immagini dei luoghi, i ritratti, i selfie creano un infinito Atlante del contemporaneo: una versione odierna, e per definizione altrettanto incompiuta, dell’opera incompiuta di Aby Warburg “Atlante della memoria”, che attraverso la raccolta delle immagini del suo tempo era alla ricerca del legame nascosto e profondo tra il nostro immaginario e le nostre origini.
Circolo Bergman, partendo dalle immagini personali dei suoi performer, si interroga come Warburg sugli archetipi incarnati nelle immagini del nostro tempo. L’azione scenica è modulare, divisa in tavole autonome e interdipendenti. A guidarci sono Sarah Atman, presenza scenica davvero notevole che riempie lo Spazio e accende l’attenzione degli spettatori con una personalità inquieta e magnetica, e Alberto Baraghini, performer/attore irregolare capace di interpretare la ricerca dell’uomo artista di un equilibrio e una forma, propri dell’archetipo albero, rappresentati dai bonsai in scena.
I performer e personaggi (c’è differenza davvero, nella nostra percezione?) rispondono al pattern di domande proposte da Circolo Bergman sulle loro foto personali, contribuendo così anche alla scrittura di uno spettacolo volutamente destrutturato e anche in questo simile alla sequenzialità analogica di un profilo social, in cui a posteriori si può tentare di individuare gli archetipi di riferimento, come nelle tavole della Ninfa (Sarah Atman) e delll’Eroe (Alberto Baraghini). Un’opera incompiuta e incompletabile che ci coinvolge tutti, che lo vogliamo o no, che ne siamo o meno consapevoli. A sottolinearlo le immagini-polaroid, scattate all’ingresso ad alcuni spettatori, che sono fisicamente presenti sulla scena. Noi spettatori, alla fine di questo spettacolo, siamo diversi, siamo cambiati rispetto a ciò che eravamo prima, ma ciò che siamo adesso è anche in quella foto. La citazione di Diane Arbus, la cui immensa capacità di fotografare il malessere della società del benessere era il perfetto riflesso del suo personale male di vivere, ci dice che siamo protagonisti delle nostre fotografie anche quando non siamo al centro dell’immagine ma siamo noi a fare lo scatto.
A.B.
Foto di Jo Fenz.