“Big Banana” di Roberto Quesada batte Big Apple uno a zero
“voglio prima provarci, o meglio, voglio prima fallire nella mia ambizione di diventare una stella del cinema.” – Eduardo
Sono giorni che ascolto Julio Jaramillo, un cantante ecuadoriano conosciuto in tutto il Sud America, perché i personaggi del romanzo che stavo leggendo ascoltano questo popolare cantautore d’amore. Funziona sempre così con i libri, ti aprono infiniti mondi e ti portano spesso in territori sconosciuti all’inizio, che diventano familiari e accoglienti andando avanti nella lettura. Non è quello che mi è successo però con “Big Banana” (Alessandro Polidoro Editore, pp. 352, 18 euro) romanzo di Roberto Quesada, perché parla una lingua conosciuta ai più che vivono al Sud. Racconta storie e personaggi molto vicini a chi è nato e cresciuto in una città come Napoli, parla di emigranti e persone che vivono di espedienti, che si fanno travolgere dalle passioni e dalle situazioni cercando di affrontarle al meglio, vivendo alla giornata, ascoltando le musiche di Jaramillo, che ha sonorità molto vicine al mondo partenopeo.
Quella che mette in scena Quesada è una storia che conosce bene, aveva ragione Lello, essendo anche lui latinoamericano trasferitosi a New York. È un romanzo che arriva in Italia a vent’anni dalla sua pubblicazione in lingua spagnola grazie alla Alessandro Polidoro Editore.
Scopriamo con Eduardo, il protagonista, chiamato bonariamente dagli amici Big Banana perché originario dell’Honduras, paese produttore di banane, una New York che non ti aspetti, lontana dal nostro immaginario collettivo. Ci muoviamo insieme ai personaggi per le strade del Bronx e del Queens senza però guardare un film della serie Die Hard, tra l’altro proprio Bruce Willis torna nel romanzo come amico fraterno nelle fantasie del protagonista. Non ci sono i Velvet Undregroud e Andy Warhol e, per grazia ricevuta, quando passeggiamo per Manhattan non è per fare shopping con Carrie e le sue amiche di Sex and city, anche se, per gli splendidi parchi e le vie affollate della città, Eduardo e i suoi amici si muovono molto. Il nostro protagonista dalle belle speranze, che vuole diventare un attore, di bella presenza e con tanta voglia di fare, mi ricorda i viveur che girano per i quartieri della propria città, dediti ai piaceri della vita mondana, alle feste e alle serate a bere con gli amici. New York diventa così una città come tante, simpatica e a noi vicina, dove scopriamo un sottobosco di emigrati latinoamericani che si confrontano sulle vicende politiche dei rispettive paesi, che parlano della terra d’origine e delle loro monete locali. Chi di voi sa quanto vale un sucres, la moneta ecuadoriana, in dollari alzi la mano. Durante gli anni dell’accademia ho frequentato più spesso gli studenti fuori sede che gli amici napoletani, ecco Big Banana parla quella lingua lì. Un mondo lontano, diverso, dove si creano famiglie di persone e amici che si scelgono tra loro non per sangue, né per necessità ma solo per piacere e voglia di stare insieme e scoprire e appropriarsi di una città sconosciuta, così da farla e sentirla propria. Con gli studenti fuori sede così come con i latini a New York si scoprono i migliori bar e le trattorie che resteranno pilasti della vita. Chi ha avuto un gruppo di amici così potrà leggere il romanzo di Quesada con l’effetto nostalgia canaglia come è successo a me. Casagrande il cileno è quell’amico che tutte le sere organizzava qualcosa, sapeva esattamente dove, e come, finire a bere e come si chiamava quella ragazza lucana che aveva attirato la tua attenzione, Felice dove sei? Josè dall’ Ecuador è quello che arrivava a Napoli con le sue convinzioni, la sua vita già strutturata e il futuro organizzato e te lo ritrovavi qualche anno dopo completamente cambiato, quello che per intenderci aveva sempre il frigorifero colmo di specialità del proprio paese, Annibale che fine hai fatto? E poi c’è Eduardo. Mi piacerebbe con lui intavolare un altro discorso ma non c’è tanto tempo e non voglio togliervi il piacere della lettura. Come in tutte le storie c’è chi va e c’è viene, chi rimane, chi si arrende e chi torna al proprio paese e sposa la ragazza del liceo.
E allora non ci resta che trovare un angolino, magari una panchina a Central Park e farci trasportare nella New York di Roberto Quesada, mai come questa volta cosmopolita nel vero senso della parola, con quel pizzico di latinoamericano in più che è il sale della vita. La città dopo questo romanzo non sarà più la stessa. Big Banana batte Big Apple uno a zero.
Antonio Conte