“Barre. Rap, sogni e segreti in un carcere minorile” del rapper Francesco “Kento” Carlo
Un laboratorio tra rap e poesia
“Barre. Rap, sogni e segreti in un carcere minorile” (Minimum Fax, 2021, pp. 177, euro 16) nasce da una realtà “troppo significativa per essere tenuta dietro le sbarre”, ed è una delle ultime e tante esperienze laboratoriali, a unire musica rap e poesia, di Francesco “Kento” Carlo – affiancato da un beatmaker e fonico professionista – in un IPM – Istituto Penale per Minorenni. È settembre, ed è sempre un inizio, dopo il caldo asfissiante e vuoto di agosto. I ragazzi sono i più piccoli e sono sulla decina, possono decidere di partecipare a quest’esperienza liberamente, e “si siedono occupando le prime due file. Tatuaggi, cappellini, Jordan ai piedi, qualcuno azzarda un timido baffetto. Quanto all’aspetto e alle pose, sono già dei rapper provetti, non c’è che dire”.
I “ragazzacci” del 323, i più piccoli
Ogni breve capitolo è introdotto da frasi di rapper famosi o dei “ragazzacci” del laboratorio stesso, sono ragazzi questi in un’età molto particolare, tra i 14 e i 17 anni, con una quotidianità segnata dall’emarginazione e dalla drammaticità della chiusura dietro le sbarre. Le loro storie sono tatuate o peggio tagliate sulla loro pelle e non solo, l’autolesionismo si manifesta in tanti altri modi e, in questo, il carcere non sempre li aiuta. Rapportarsi con loro richiede una grande volontà, che superi innanzitutto ogni forma di pietismo, fino a renderli nostri pari, parlando loro con verità, rispetto, determinazione e chiarezza, senza moralità e, solo in questo modo, si può arrivare ad abbattere ogni tipo di diffidenza.
“In mezzo al peggio resto sempre positivo/Ogni giorno ringrazio di essere vivo/Canto libertà in mezzo alle grate/Scrivo versi dietro porte sbarrate/Voglio dirlo al magistrato:/Sono un ragazzo ma tu vedi un carcerato.” – Adrian –
Creatività e arte contro rabbia e fragilità
Sono ovviamente ragazzi di oggi, più interessati alle visualizzazioni dei social che non alle esibizioni live o alla scrittura di un libro; e questo contatto che avviene tra le parole e la musica serve loro per tirar fuori tutte le fragilità interiori, che tra il gruppo di lavoro vengono comprese e anche condivise, senza forma alcuna di derisione o superiorità, a testimonianza di come ogni forma di arte e creatività tendi a unire le persone, sia adulti sia giovani. È importante l’attenzione e l’impegno, il mettersi quotidianamente nelle condizioni di seguire il laboratorio settimanale, evitando quindi punizioni che farebbero saltare la loro attività. È necessario che i ragazzi sappiano che ci sono delle regole da rispettare, che abbiano rispetto per il lavoro che dovranno svolgere, che farà sì che avvenga uno scambio di energie utile a tutto il gruppo; facendo svanire la rabbia e la frustrazione legate alla loro condizione, attraverso la scrittura, le parole, la musica e tutte le discipline con cui entrano in contatto, che sono la base della musica hip hop. E tutto questo Kento lo racconta non solo con le parole di questo libro, ma anche con il mixtape “Barre”, tredici tracce musicali a creare un forte legame tra parole e poesia, tra buio e luce.
Marianna Zito