“Autobiografia di Alice B. Toklas”: Gertrude Stein racconta Gertrude Stein
“Rimasi impressionata dalla spilla di corallo che portava e dalla sua voce. Posso dire che tre volte in vita mia mi sono imbattuta in un genio e ogni volta si è messo a squillare dentro di me un campanello e non mi sbagliavo. (…) I tre geni di cui vorrei parlare sono Gertrude Stein, Pablo Picasso e Alfred Whitehead”.
Un testo geniale, un espediente narrativo per parlare di sé, parlando in modo artefatto e fittizio di sé. L’americana Gertrude Stein (1874 – 1946) scrive “Autobiografia di Alice B. Toklas” (Lindau, 2020, pp. 360, euro 26) – un omaggio dichiarato a tre geni: Gertrude Stein, Pablo Picasso e Alfred Whitehead – per raccontare la sua vita attraverso altri occhi, per raccontare la vita degli intellettuali che – a partire dai primi anni del ‘900 – popolarono i salotti dell’appartamento e l’atelier a esso attiguo, al n. 27 di Rue de Fleurus di Parigi che, fino al 1914, fu suo e di suo fratello Leo. Tra questi si annoverano i nomi di Matisse e Picasso e sua moglie Fernande, Derain, Max Jacob, Hemingway, Scott Fitzgerald, Ezra Pound, Henri Rousseu, Apollinaire, Cocteau e molti altri; tutto questo mentre è alle porte la Grande Guerra.
Un’autobiografia travestita da racconto, dove la voce narrante è Alice B. Toklas che, anziché parlare di sé, racconta aneddoti in cui la protagonista è Gertrude Stein. Compagna di vita della Stein, è a lei molto vicina, nonché redattrice di tutti i suoi lavori letterari e, ovviamente e necessariamente, ospite di quello che sarà uno dei salotti letterari più di avanguardia di tutto il ‘900, che vedeva settimanalmente riuniti artisti, scrittori ed editori, per ammirare le opere d’arte che i fratelli Stein cominciarono a collezionare a partire dal 1904, tra cui dei Gauguin, Cézanne, Renoir, Delacroix, Matisse, Picasso, Henri de Toulouse-Lautrec e altri ancora. Tra le grazie di Gertrude Stein spicca, raccontato sempre per bocca di Alice, l’amato Picasso che nel 1907 cominciò un suo ritratto, che vede la luce dopo più di novanta sedute di posa.
“Vorrei riuscire a trasmettere qualcosa di quella affettuosa semplicità familiare con cui lui pronunciava sempre il nome di lei e con cui sempre lei diceva, Pablo”.
Scritta e pubblicata da Gertrude Stein nel 1933, questa autobiografia è un’autocelebrazione che nasce da una “prosa anticonvenzionale” in grado di ammaliare il lettore.
“…era intenta a lottare con le sue frasi, quelle lunghe frasi che dovevano essere articolate esattamente a quella maniera. Frasi e non solo parole ma frasi e sempre frasi furono per Gertrude Stein la durevole passione della sua vita”.
Massimo Scorsone traduce con una musicalità perfetta frasi scomposte e ripetizioni ritmate di parole, punteggiatura mancante, situazioni che saltano da un anno all’altro in un lungo arco di tempo e che si avvalgono di una libertà linguistica sperimentale, come leggiamo nella prefazione di Marzia Capannolo “propria delle espressioni della letteratura modernista di inizio secolo”.
Marianna Zito