“Atti di sottomissione”, lo straordinario esordio internazionale di Megan Nolan
“Non avrei potuto scegliere altri grandi amori invece degli uomini che ho scelto di amare? Certo che avrei potuto, ma non l’ho fatto, e questa, la mia storia, è la storia di questo atto mancato.”
Tiziana Lo Porto traduce Megan Nolan. E per tradurla la ascolta, mentre la Nolan in “Atti di sottomissione” (NNE, 2021, primo volume della Collana Le Fuggitive, pp. 286, euro 19) si racconta, si mette a nudo completamente in una sorta di memoir, un diario confidenziale dove esplora l’autolesionismo, le sue relazioni sessuali e le sue dipendenze.
Quale è il filo conduttore della nostra vita quando è la nostra stessa vita ad andare in pezzi? Perché ci infliggiamo punizioni quando non arriviamo a sopportare ciò che ci accade intorno? Megan Nolan ci spiega i suoi punti di vuoto, analizza con precisione ogni comportamento necessario nel preciso momento in cui a predominare è l’azione, quel baratro dove la risalita sembra impossibile e dove ogni punto di salvezza rimane uno spiraglio lontano.
Che cos’è l’amore e quali sono i suoi limiti? Quale è il confine tra l’amore e il sesso? E tra il sesso, la violenza e la sopraffazione?
“…è stato il primo che ho venerato. Il suo corpo sarebbe diventato per me un luogo di preghiera, un posto dove dimenticare la mia carne viva e stare solo con la sua. era una questione di piacere assoluto, di bellezza totale”. È Ciaran: scostante, anaffettivo, egoista. Mentre lei è alla ricerca continua di quel compiacimento che la porterà alla redenzione. Fino a svendersi e umiliarsi, svilendo sé stessa, svalutando sé stessa e avvitandosi su sé stessa.
E il nostro corpo? Quando riusciamo a sentirlo vero? Perché siamo in grado di amarci solo quando lo fanno gli altri? Quando riusciamo ad accettarlo? Quanto è più importante l’accettazione dell’altro prima della nostra?
“Quando stavo con gli altri mi sentivo vera; era questo il motivo per cui volevo essere innamorata.”
La scrittura è chiara, è cruda e allo stesso tempo incredibilmente vera e sincera. Ci riconosciamo in lei, ci arrendiamo con lei per poi ritrovarci e aggrapparci a quell’unico ramo che non sappiamo se sarà in grado di sorreggerci.
“Mi sono chiesta come facessero sempre a sapere che potevano picchiarmi.”
Atti di disperazione che richiamano l’altrui di disperazione e perversione, entrando in un circuito di dipendenza fisica ed emotiva, “amo la ragazza che ha fatto queste cose. La amo perché mi dispiace per lei e la capisco”.
E arriviamo al punto. Quel punto in cui non si cerca né compassione e né redenzione: è solo una storia. La storia di un atto mancato.
Marianna Zito