“Arazzo familiare”: tre generazioni di donne verso la consapevolezza – Intervista all’autrice Anna Cantagallo
La storia di tre donne: nonna, madre e figlia, che attraversano periodi storici diversi, ma le cui vite si svelano a poco a poco, a formare un intricato, ma bellissimo arazzo, che comprende non solo le loro storie, ma anche tradizioni e segreti. È quanto accade in “Arazzo familiare” (Castelvecchi, Collana Tasti, 2021, pp. 264, euro 23,50), il primo romanzo di Anna Cantagallo. Le tre protagoniste Maricò, Marilì e Marigiò hanno molto in comune oltre al grado di parentela: le loro vite, che insieme coprono il periodo dalla Prima guerra mondiale agli anni ‘80, sono caratterizzate da una straordinaria vivacità, sono donne forti e determinate, ma che portano dentro grandi ferite. L’amore è protagonista, così come la femminilità in un’epoca in cui la parità di ruoli non esiste: Maricò e Marilì portano sulle loro spalle il dovere di assistere gli uomini di casa e di mettere a tacere ogni altro desiderio. Per Marigiò le cose saranno diverse, ma permeate da ben altre difficoltà. Un vero e proprio arazzo, i cui fili andranno a formare, alla fine, qualcosa di inaspettato e, allo stesso tempo, di incredibilmente vero.
Anna Cantagallo è medico e scrittrice. Ha curato per Gremese Editore la collana scientifico-divulgativa La scienza in cucina.Da anni si dedica alla scrittura di testi teatrali. Il suo progetto La scienza a teatro per la divulgazione delle scoperte scientifiche attraverso la teatralizzazione ha ricevuto il patrocinio del CNR e dell’Ordine dei medici di Roma.
Per andare più a fondo di questo romanzo, abbiamo fatto qualche domanda all’autrice.
Le fila della narrazione vengono rivendicate nella Premessa da un personaggio della mitologia greca, Filomela, come mai ha scelto di unire la classicità al XX secolo?
Le donne che non avevano voce per narrare tessevano arazzi. Così fa Filomela per comunicare alla sorella la sua disavventura. Mi piaceva l’idea di collegare questo mito con queste tre donne che riescono a far sentire la loro voce in un crescendo mentre si avvicendano le generazioni. Ci si domanda spesso se siamo davvero padroni del nostro destino. Nel caso delle vicende narrate in Arazzo, ho immaginato che le storie, le decisioni e gli imprevisti siano già stati scritti nel tempo da un Essere.
“Arazzo familiare” racconta la storia di tre donne nel periodo dalla Prima guerra mondiale agli anni 80. Si parte da Penne, un paese in provincia di Pescara, per arrivare a Roma. Come ha scelto questa ambientazione storica?
Mi è sembrato congeniale per descrivere tre realtà in diverse epoche e luoghi. Per tracciare un contesto credibile, ho pescato nei miei ricordi e li ho arricchiti con tante informazioni provenienti da altre fonti. Sono diventata di casa alla Biblioteca Centrale di Roma, dove ho potuto consultare testi ed anche giornali d’epoca. Il paese di Penne, dove sono nati i miei genitori, lo conosco bene: alcune abitudini del posto, che cito nella storia della nonna, Maricò, appartengono alla mia memoria. Roma è la città in cui vivo. Per iniziare la storia della madre, Marilì, ho pensato ad un avvenimento meno noto della Seconda guerra mondiale, avvenuto a Roma: il bombardamento della stazione Ostiense. L’incipit si apre con questo evento.
Quanto tempo ha richiesto la stesura definitiva del romanzo?
Ho impiegato dieci anni. Il lungo arco temporale prende il via nel momento in cui ho realizzato di volere trattare l’argomento che mi stava a cuore: la consapevolezza della donna d’oggi, ricercandone la genealogia nel tempo. Quando ho percepito che mi stavo impegnando in un progetto ambizioso che necessitava di andare indietro di tre generazioni, ho avuto un periodo di smarrimento. Ho lasciato stare l’idea per vari mesi ma questa, inevitabilmente, rifioriva dentro di me. Così ho iniziato ad immaginare la trama e l’architettura con cui realizzarla. Il tempo per pensare è stato lungo. Altrettanto lo è stato quello dedicato allo studio della Storia e del materiale riguardante i documenti e le foto di famiglia, o di conoscenti, che sarebbe stato utile per fornire alcuni dettagli storici e ambientali. Quando sono passata alla scrittura vera e propria, i personaggi già affollavano la mia mente. Per metterli in “riga” e farli crescere ci è voluto ancora altro tempo.
Nel romanzo la storia di Maricò, Marilì e Marigiò passa attraverso delle ricette tradizionali che si tramandano di madre in figlia e che rappresentano un punto fermo della narrazione. Nell’arazzo che forma la narrazione, che ruolo avrebbero e di che colore?
L’impegno di tramandare le ricette di cucina da una generazione all’altra funge da passaggio di testimone di molteplici ricordi familiari intrisi di sapori, di odori, e di senso di accudimento. Non si tratta solamente di raccogliere un sapere di competenze, ma di custodirlo e di rinnovarlo in nome di quella affettività che lega inesorabilmente il cibo con il calore familiare. Nella trama dell’arazzo le ricette diventano il fil rouge visibile che lega le tre donne.
A quale figura femminile si è sentita più vicina?
Le ho amate tutte, come una madre ama i propri figli. Tuttavia, ho sentito il personaggio della nonna, Maricò, quello più vicino a me. Lei, una donna di inizio Novecento riesce già ad intravvedere la via difficile e penalizzante verso l’autonomia. Sarà la prima delle tre donne a fare una scelta di vita originale.
Le tre donne del romanzo portano nella loro storia lunghi amori infelici con qualche barlume di amore vero, uno schema che si ripete per ciascuna di loro, pur non consapevolmente. Quanto, secondo Lei, questo copione che si ripete contribuisce a far emergere la loro forza interiore?
Gli amori infelici che si ripetono nelle generazioni sono espressione della fragilità della donna riguardo al suo tesoro più grande: l’emotività. Un tesoro che mal sopporta il confronto con la realtà e meglio si esprime nel sogno. Nel secondo dopoguerra i fotoromanzi che fornivano a tutte le donne, anche alle analfabete, gli elementi per sognare, sono stati dei successi editoriali ineguagliati. Gli amori solamente sognati possono riempire la vita meglio di quelli veri, soggetti a delusioni e a tradimenti. Nel sogno, i contorni di un Lui ideale si possono modellare. Tuttavia, la forza dell’emotività, alimentata anche dall’amore materno, ha aiutato a fortificare queste donne nel loro percorso. Solo la figlia, Marigiò, si porterà il fardello della scelta della carriera a discapito della vita personale.
Nel libro si sente forte la disparità tra uomo e donna, così come l’abitudine al silenzio e a non esprimere apertamente i propri pensieri. Quanto la mancanza di comunicazione porta a un giudizio superficiale degli eventi? Come vede la situazione odierna in questo ambito?
Le donne non avevano voce per esprimersi nell’ambito familiare. Non era previsto nel ruolo di brava ragazza e poi di moglie che potesse comunicare apertamente. I coniugi non parlavano intimamente, né i padri avevano atteggiamenti affettuosi verso i figli. Tale mancanza di abitudine a rivelare i propri pensieri o le emozioni intime lo si portava come un fardello inevitabile. Le madri potevano dare sfogo della loro emotività con i figli nei limiti imposti dall’educazione e dalle regole sociali. Se questo riguarda il passato, ora noto che si parla molto, ma si comunica poco. Bisognerebbe armonizzare i punti di vista diversi tra uomo e donna. Riporto un esempio, tratto dal romanzo Dalla parte di lei di Alba Des Cepedes. Siamo a Roma, negli anni della Seconda guerra mondiale, con la fame che attanaglia le pance vuote. Trovare qualcosa di buono è rischioso e quasi impossibile. Il marito della protagonista arriva con una sorpresa per il suo compleanno. L’uomo è sicuro che lei ne sarà felicissima; lui ha penato tanto per trovare questo pacchetto che nasconde dietro la schiena. Ha girato tutta la città per ore ma lo ha fatto per lei, perché l’ama. Lei intuisce che a breve avrà ciò che più desidera. Lui le chiede di chiudere gli occhi e le consegna il pacchetto mentre lei, felice, anticipa: è una lettera d’amore! Il viso della donna cambia dalla felicità alla delusione quando al posto delle parole attese c’era del… prosciutto! Questo episodio intaccherà profondamente i loro rapporti.
Ci sarà un sequel di “Arazzo familiare”?
In questo momento sono impegnata nella scrittura del sequel di “Arazzo familiare”. Nelle ultime pagine ho lasciato delle situazioni irrisolte che troveranno la loro via nel romanzo successivo. Vorrei trattare l’argomento della donna autonoma che si confronta con il dilemma degli affetti.
Lei ha curato per Gremese Editore la collana scientifico-divulgativa La scienza in cucina e scrive anche testi teatrali che possano divulgare le scoperte scientifiche. Quali sono i suoi progetti a riguardo?
Mi auguro che presto si possano di nuovo frequentare i teatri. Questa lunga privazione è penalizzante per gli spettatori, ma anche per chi dell’attività teatrale vive. Per quello che mi riguarda, spero di mettere di nuovo in scena un testo su Trotula De Ruggero, una medichessa salernitana del 1200.
Roberta Usardi