“ANTROPOLAROID”: FOTOGRAFIA DI UN SOGNO DIVENUTO REALTÀ
“Sono Tindaro Granata e voglio fare l’attore!”. Ha origine dalla forza ostinata di un sogno la storia di “Antropolaroid”, dall’esigenza di doversi raccontare e si consegna agli occhi degli spettatori come un atto d’amore quasi dovuto verso delle persone care, i suoi avi. Lo spettacolo dell’attore siciliano, in scena dal 7 al 12 maggio all’Off/Off Theatre di Roma in Via Giulia, narra frammenti di vita messi in sequenza dal 1925 al 1995 e vede protagoniste diverse generazioni. È un monologo a più voci nel quale si ricordano, come se si sfogliasse un album di famiglia, il bisnonno che si impicca quando scopre di avere un tumore incurabile, la bisnonna incinta che si reca spesso al cimitero per prendersela con la tomba del marito, Maria Casella che si innamora di Tindaro incontrato a una festa da ballo, la fantastica zia Peppina che strappa sorrisi a colpi di valzer, fino ad arrivare alla nascita di Tindaro nel 1978 che una volta adulto parte per il servizio militare e si imbarca per due anni su nave Spica e qui incontra il nipote del boss del suo paese di origine, il giovane Tino. Ma questo è il giorno in cui Tindaro parte alla volta della capitale, vuole diventare un attore e nulla può fermarlo.
Un teatro di testimonianze rese in forma di romanzo che restituisce la cartolina di una Sicilia arcaica, uno spettacolo attraversato da un’inquietudine dolorosa dove a tratti si coglie ugualmente l’occasione di ridere per la caratterizzazione dei personaggi, il loro susseguirsi in una giostra di metamorfosi padroneggiate abilmente dal corpo dell’interprete, solo ad abitare una scenografia quasi spoglia. Donna innamorata, bambino timido e balbuziente, uomo d’onore, uno dopo l’altro in una galleria di ritratti imperdibili. Accompagnato da una sedia, un lenzuolo e un maglioncino che diventa velo delle vecchie del suo paese, l’attore-autore passa in rassegna svariati decenni considerando molteplici ruoli, di varia età, tra giochi, danze sfrenate, lavori, relazioni, dialoghi veraci, distaccandosi dal modello originale di tradizione orale del cunto senza però dimenticarsene, ricomponendo così un dialetto siciliano ricco di detti, voci e intrecci sonori della sua terra natìa. Si pensa al mondo epico e ciclopico dei pescatori di Aci Trezza del film viscontiano “La terra trema”. Una terra dominata da una mistura di canti e bestemmie, in cui l’aria pizzica le narici col sale, il sole irradia, l’economia è nelle mani di grossisti di pesce e pescatori, terra bella e maledetta in cui se “nasci schiavo muori schiavo”.
Quello di Tindaro Granata è un teatro che cattura forze tramite l’energia della parola e si fa enfasi con una concezione plastica e ritmica dello spazio. Estrae da sé una verità d’ispirazione personale e la dona in scena, in uno stato che diventa di grazia poetica quando si lascia avvolgere dal lenzuolo ballando sulle note di “Magnificat”. Una storia che balza addosso e stringe il cuore come un fiume in piena, forte di una partitura sonora che muove da labirinti interni. Regala moniti preziosi, ad esempio la perseveranza come agire faticoso dentro e contro le difficoltà e il cadere e il rialzarsi come esercizio paziente dell’intera vita umana. Sono passati esattamente venti anni da quando Tindaro ha lasciato la Sicilia per inseguire il suo sogno, eppure “Antropolaroid”, nonostante le tante repliche, resta ancora oggi un’esperienza teatrale che respira nel presente vicina al pulsare del tempo, con il suo unico e autentico swing.
Diana Morea
Foto di Manuela Giusto