Antonino De Francesco e la Rivoluzione francese: “Tutti i volti di Marianna”
Scrivere una storia della Rivoluzione francese non è mai stata un’impresa agevole. Ma ancor meno agevole è scrivere una storia delle storie della Rivoluzione francese. Tuttavia, si è coraggiosamente cimentato in questa impresa Antonino De Francesco, ordinario di Storia moderna all’Università degli Studi di Milano, e il risultato è un ponderoso volume fresco di stampa “Tutti i volti di Marianna” (Donzelli, Roma 2019, pp. 397, euro 34).
Il libro passa minuziosamente in rassegna più di trecento storie della Rivoluzione pubblicate in Europa e negli Stati Uniti, durante un arco temporale che va dal 1789 a tutto il ‘900. Fosse solo per questo il lavoro di De Francesco sarebbe già estremamente utile, fornendo agli studenti e agli studiosi una schedatura di quasi tutte le opere esistenti dedicate alla Rivoluzione (naturalmente una rassegna di tutte le opere era fin dall’inizio una missione impossibile: tanto per fare un nome manca il libro di Korngold su Robespierre e il Quarto stato). Ma il merito principale di “Tutti i volti di Marianna” è quello di avere pienamente confermato uno degli assiomi fondamentali del pensiero moderno: ogni storia è sempre storia contemporanea. Ogni storia della Rivoluzione francese, in altri termini, utilizza questo evento epocale della storia occidentale come strumento della lotta politica contemporanea. La grande dicotomia, che emerge dalla lettura complessiva dell’opera, è quella che vede lo scontro fra i partigiani della Rivoluzione inglese, e poi americana, e i partigiani della Rivoluzione francese. Tipico rappresentante del primo partito è Edmund Burke, seguito poi da tutti i monarchici e conservatori come ad es. Jacques Bainville. Eminente rappresentante del secondo è Thomas Paine, le cui idee trovarono ampia eco, soprattutto in Francia, negli storici legati alla Rivoluzione russa e alla cultura politica di sinistra. Nella visione di Burke la Rivoluzione inglese era il recupero di antiche libertà, quindi nasceva nel solco della tradizione, e non contro di essa. Nella visione di Paine, al contrario, la Rivoluzione francese era una completa rottura col passato e con la tradizione, una vittoria dei vivi sui morti. Dopo la Rivoluzione russa, Lenin, la lotta ai kulaki e la dittatura del proletariato richiamarono alla memoria Robespierre, Saint-Just e il Terrore, e fornirono un nuovo angolo visuale da cui rileggere quelle figure e quegli eventi. Ma anche qui la parola d’ordine era rompere col passato e con la tradizione per forgiare l’Uomo Nuovo. Naturalmente era impossibile parlare della storiografia di sinistra senza parlare di Marx. Dalle pagine a lui dedicate emerge un atteggiamento poco limpido nei confronti del 1789 e dei suoi sviluppi da parte di Marx. Tuttavia Marx leggeva la Rivoluzione da una ottica particolare, fondata su una riproposizione della filosofia della storia di Hegel. Se non si tiene conto di questo la posizione di Marx può apparire effettivamente ambivalente. Ma è la stessa «ambivalenza» che sostanzia ogni visione dialettica del reale: che sia essa ‘a testa in giù’ o ‘a testa in su’, cambia poco o nulla.
Luciano Albanese