“Anatomia di un profeta” – Il viaggio nell’abisso di Demetrio Paolin
Patrick e Geremia, un bambino e un profeta che si fanno strada nelle pagine del libro di Demetrio Paolin edito da Voland (2020, pp. 245, euro 17) “Anatomia di un profeta”. La morte di un bambino e la prigionia del profeta si muovono in modo parallelo nella vita di un giovane Demetrio che a distanza di trent’anni, si ricerca nei pensieri e nei luoghi, senza mai ritrovarsi del tutto, senza riconoscersi. “Sono io senza essere più io”.
Prende qui vita, man mano, la costruzione della parola, riconosciuta e scritta e ancora cancellata e di nuovo detta, o mai pronunciata di fronte “all’inadeguatezza di ogni consolazione”, quella di una madre davanti all’assenza, per morte, del proprio figlio. Esce dall’ “unica via per venire e andarsene dal mondo” la parola, la nostra. Così come quella del profeta: parola dalla bocca di Dio. A un certo punto storie, pensieri e ricordi si uniscono, ristaccandosi e unendosi ancora a ultimare questo scritto, che diventa la ricerca di quell’affermazione che si trova solo morendo, ma solo morendo con le proprie mani, per toccare l’abisso e arrivare, in tal modo, alla salvezza. Pensiamo a Geremia, a Patrick a D.F. Wallace. Pensiamo a tutti noi.
Paolin si scopre troppo, ma forse siamo noi stessi a sentirci nudi davanti alle sue parole, davanti alla sua verità. Ci porta altrove, ci riporta indietro, a ritroso verso situazioni analoghe rimaste senza risposte. Quanto siamo piccoli di fronte al tempo e di fronte alla sofferenza e bellezza di un Profeta, Geremia o di fronte alla scelta coraggiosa di un bambino, Patrick. E Paolin qui è un folle perché ha il coraggio e la forza di raccontare i pensieri, le ferite scoperte che possiamo restare a guardare solo con occhi pieni di lacrime, con astio, infinito dolore o semplicemente con immensa gratitudine.
Marianna Zito