Alle prese con “Viro” della Compagnia Abbondanza / Bertoni
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In principio, il movimento. Un soffio di ventilatore gioca a nascondino tra i capi opposti di una scenografia completamente nera, mentre una luce si rivolge con passo vigile ora al centro del palco ora al pubblico che prende posto in sala. Dunque fin dall’inizio Viro, la creatura della Compagnia Abbondanza/Bertoni, è circondato da una materia che pulsa, mormora e brulica. Ciò è reso ancora più evidente dalla scelta dell’album Death of a Typographer di Byetone quale architettura e armatura acustica.
In un crescendo saturo di elettricità, un lembo di fondale si solleva, lento, severo, come la gigantesca veste di un Giove seduto in trono. Il varco così creato illumina, un arto alla volta partendo dal basso, una coppia di figure maschili (Cristian Cucco e Filippo Porro) di pari aspetto. La loro danza si articola in tratti e segmenti geometrici, spesso ripetuti in più direzioni, come pezzi di un medesimo colore (nero) nel gioco degli scacchi: le loro traiettorie sono sincronizzate, ogni movenza viene eseguita da entrambi con scarti minimi, ma non si incontrano mai finché la partita non è chiusa. Incarnazione in forma sdoppiata e smarrita di quelli che Artaud in appendice a Eliogabalo rubrica alla voce “partigiani del Maschio”, i due alfieri sono fino alla fine vicini ma reciprocamente opachi, alleati ma discordi, pari e al contempo dispari, in costante apnea da prestazione e competizione sia tra loro che nei confronti dell’altra metà del cielo – pardon, l’altra metà della scacchiera.
Viro, che la regia (Michele Abbondanza) efficacemente descrive “virile e virale” assume a ritmo incalzante i contorni in perenne sovrapposizione dell’uomo che mette su un piedistallo ideale il proprio modo di guardare e di agire, l’individuo che vede ovunque conferme e nient’altro che conferme, il privato che esibisce compulsivamente i confini di ciò che è suo e che – simile al colore che predomina su tutti gli elementi in scena – si alimenta trattenendo per sé ogni cosa, ogni barlume.
Preceduto da Idem – Io contengo moltitudini (2022) e da Femina (2023, candidato al Premio Ubu per il migliore spettacolo di danza), Viro ha debuttato nel settembre 2024 all’Auditorium Melotti di Rovereto per Oriente Occidente Dance Festival, portando a compimento la trilogia della Compagnia Abbondanza/Bertoni sull’indagine dell’identità. Dopo la recente replica al Teatro Sanbapolis di Trento per CSC Santa Chiara, lo spettacolo tornerà in scena al Teatro Palladium di Roma il prossimo 21 febbraio e approderà a Torino il 28 maggio per INTERPLAY Mosaico Danza.
Pier Paolo Chini
Foto di Giulia Lenzi