“Album di famiglia”, i pezzi da rimettere insieme
“Album di famiglia” (Polidoro Editore, 2023, pp. 212, Euro 17) è il secondo romanzo di Alaide Ventura Medina, antropologa, scrittrice ed editor messicana, che nel 2019 ha ricevuto il premio “V Premio Mauricio Achar” di Literatura Random House.
“È importante avere un complice. Non è indispensabile, ma sembra una buona idea poter contare su qualcuno che come te proviene da quel luogo. Occhi che hanno conosciuto la stessa guerra, che hanno perso la stessa patria. (…) La prima guerra a volte è la casa. La prima patria persa, la famiglia.”
La giovane protagonista trova la collezione di vecchie foto messe da parte dal fratello minore, Julian. Non capisce perché abbia deciso di “conservare prove di quegli anni. Recuperare oggetti tra le macerie ha senso soltanto quando si tratta di ricordi preziosi. ma queste fotografie non sono altro che piccoli abissi personali, ferite mal cicatrizzate”. Non ritraggono momenti particolarmente gioiosi, anzi, viste tutte insieme diventano la mappa di un’infanzia piena di soprusi, insicurezze. Ognuna delle foto porta alla luce la violenza del padre, i vani tentativi di ribellione della madre, i sensi di colpa per quello che si crede di aver fatto. Tanti pezzi da rimettere insieme, tanti quanti sono i pezzi in cui sono ridotti i personaggi, che dalla violenza non si esce mai interi, salvi.
Subito, dalle prime righe, Alaide mette in chiaro che non saranno pagine facili da leggere, non saranno leggère, colpiranno duro e faranno male. Ossessioni, quella del padre per il linguaggio che si trasforma in continue definizioni nel racconto della protagonista. Violenza, quella di un padre che è generoso, si, ma di botte, urla, scherno. Un padre che è solo una serie di negazioni: non ringrazia, non chiede scusa, non si sente dispiaciuto, non spiega. Una figura che va e viene per rompere gli equilibri ogni volta più difficili da ricomporre. Senso di colpa, malattia dalla cura complicata, “ospite indesiderato che brucia tutte le vie”. Il silenzio come arma di difesa, come ribellione estrema. Il silenzio di Julian che invade ogni cosa e lascia senza possibilità di movimento. La solitudine di non appartenere a nessun posto. Meccanismi di sopravvivenza paradossali per cui si cerca protezione proprio in chi è causa di vulnerabilità. Le compulsioni, unghie mangiate, sbalzi anoressici e bulimici.
“Amare è un dilemma perpetuo di indole morale ed etica. Un esercizio di riflessione in cui non ci sono risposte sbagliate.”
In queste pagine a essere sbagliate non sono le risposte, ma le domande, le azioni che implicano. La ricerca disperata di una famiglia unita che non ci può essere perché manca la base, quella della calma, del dialogo, della stabilità. Una figlia che si fa carico di incollare quel che si era rotto: uno sconvolgimento di ruoli che solo all’allontanamento può portare. E ci si ritrova divisi in squadre, senza sapere da che parte stare e se una parte c’è. Schiacciati emotivamente, quando non fisicamente, incapaci di riconoscere la propria madre come alleata, provando gelosia per quel fratello che si vorrebbe come compagno di lotta, ma che non ne ha la forza, divorato dall’autodistruzione come tentativo estremo di salvezza.
“Quasi nulla dell’umano, di ciò che consideriamo prettamente sociale, è calcolabile in termini oggettivi. L’amore, la lealtà. Non esiste una bilancia in grado di indicare il peso e le dimensioni del rimorso che porto sulle spalle dal momento in cui ho deciso di voler bene a papà nonostante tutto.”
Schemi capovolti in quella che appare come un’eterna messinscena dell’amore. Le foto raccontano di attimi di tregua troppo brevi e sofferenze troppo lunghe, nella ricerca di simbiosi, affetto, un filo invisibile che ti dica “si, appartieni a questo, non sentirti di troppo”, smettendo di vivere in un limbo.
Laura Franchi