Al Vascello ci salutiamo con “Scannasurice”
È “Scannasurice” di Enzo Moscato, diretto da Carlo Cerciello, a chiudere questa volta il Teatro Vascello di Roma dopo l’emanazione del DPCM del 24 ottobre. Sarà forse una premonizione o una coincidenza ma “e accussì ‘ccà sule tre cose nun ce so’ rimaste: gli ipogei, ‘a memoria e ‘a magia… ben sapendo ca sule loro ce putevano salva’… ca sule loro putevano evita’ le tarme, ‘a naftalina, o peggio, di cadere seppelliti in qualche libbre, alla guisa di mummie alisandrine”.
Entriamo con Dicitencello vuje in sottofondo, nella reinterpretazione di Allan Sorrenti. Davanti a noi, sulla scena di Roberto Crea, una composizione si innalza verso l’alto e, a prima vista, ci ricorda la struttura dei loculi cimiteriali vuoti. È tetra e buia, ma viene subito illuminata dalla voce di una creatura straordinaria, una Imma Villa androgina e ubriaca, prima semisvestita e subito dopo con una pelliccia a donarle eleganza e sensualità. Un femminiello – per rimanere con le parole della cultura della città partenopea – che all’occorrenza si tramuta in figura sacra, contornato da luci e lumini. La figura si sposta con estrema facilità da una parte all’altra della struttura, sparendo e ricomparendo all’improvviso; una struttura che sembra una prigione, ma che in realtà è anche un varco verso l’esterno, verso la città e le luci delle case degli altri. Il pensiero di Scannasurice sono i topi, esseri inferiori e sottomessi, ancora più superbi e invadenti dopo il terremoto che colpì Napoli nel 1980. Topi che girano tra le pietre e i rifiuti e che prima ama e poi disprezza e – a noi e a loro – parla, racconta ciò che è accaduto ragionando e inveendo sull’esistenza stessa. Parla in napoletano, una lingua incomprensibile per alcuni, ma non troppo, perché sono le espressioni a parlare e i suoni melodiosi ed evocativi delle parole strette a introdurci nei racconti di questo personaggio. E, improvvisamente, tutto è chiaro alla mente e agli occhi di tutti.
E come Scannasurice che, esausto, si lascia andare a quella che è la sua vita, anche noi esausti, oggi, aspettiamo con un filo di speranza accesso quello che accadrà all’indomani di questo momento storico surreale, che continua a vederci impotenti e silenti, ma pieni di forza per continuare.
Marianna Zito
Foto di Andrea Falasconi