AL TEATRO INDIA DI ROMA “IL GIARDINO DEI CILIEGI” ITALIANO DELLA COMPAGNIA KEPLER-452
L’incontro fortuito tra un capolavoro della letteratura teatrale mondiale e una storia dei nostri tempi, l’enorme perizia di una realtà teatrale giovane e solida e l’intelligenza di mantenersi, anche quando sarebbe più facile non farlo, sul sottile filo della narrazione senza mai scadere nella ricerca di un pietismo forzoso che rovinerebbe un impianto solo apparentemente casuale ma che è invece frutto di una lunga e attenta riflessione. Questi gli elementi principali de “Il Giardino Dei Ciliegi – Trent’anni di felicità in comodato d’uso” che la Compagnia Kepler-452 porta in questi giorni in scena al Teatro India di Roma fino a domenica 17 Febbraio.
A partire dall’ultimo testo di uno dei più importanti drammaturghi mai esistiti, Nicola Borghesi, Paola Aiello ed Enrico Beraldi ci raccontano la storia di Annalisa e Giuliano Bianchi, una coppia alla quale, dopo 30 anni, viene sottratta, al fine di restituirla al Comune di Bologna – legittimo proprietario -, la casa colonica, ubicata alla periferia del capoluogo felsineo, nella quale i due hanno vissuto per tutto il detto periodo. La coppia, una vita passata insieme a includere persone e animali, da un boa constrictor ad un babbuino per il quale Giuliano, tra le altre cose, costruirà un apposito impianto di riscaldamento, e a non escludere niente, dovrà quindi abbandonare coattivamente la loro stessa base per far spazio al nuovo che avanza, alla modernità che inghiotte tutto non curandosi di mantenere le radici di nessuno. Nel testo cechoviano sono Gaev e Ljuba, fratello e sorella caduti in disgrazia, a dover sopportare più di altri, avendo forse più passato e meno futuro di tutti gli altri protagonisti della vicenda, l’impellente ed inevitabile perdita del loro posto del cuore. Annalisa e Giuliano diventano quindi proiezioni dei personaggi del drammaturgo russo e al tempo stesso ripercorrono, rendendocelo noto, questo importante snodo della loro vita, probabilmente anche con il risultato finale di star metabolizzando, sera dopo sera, la loro incalcolabile perdita.
Nicola Borghesi, regista dello spettacolo, ha il merito di aver maneggiato con grande cura un materiale che potrebbe facilmente suscitare una tristezza mista a compassione che però viene sistematicamente schivata grazie a una impeccabile costruzione teatrale che alterna una lavorazione classica, ottimamente effettuata, a una più istantanea, degna della migliore comunicazione informale, senza però perdere neanche in questo caso, efficacia e precisione. La narrazione procede per tutta la durata dello spettacolo (1h40m) spedita e senza intoppi, sostenuta dalla verve di un brillante Lodovico Guenzi che, non costretto nella sua immagine musicale-televisiva, lavora con generosità e intelligenza il Lopachin che si aggiudicherà il Giardino della pièce e dalla solida prova d’attrice di Roberta Aiello, metronomo non appariscente dello spettacolo. È lei a dettare tempi e velocità, apparendo e scomparendo, ma non abbandonandoci mai. Lo spettacolo raggiunge lo spettatore, lo rispetta e lo porta dentro a fatti di cronaca e di vita, permettendogli di essere presente anche in luoghi e tempi che invece aveva inevitabilmente mancato.
Giuseppe Menzo