Al Teatro i di Milano arriva “Lo straniero – un funerale”
“Il giorno diventa notte in un solo momento, non è quando il sole tramonta, è prima…”
Così, con queste parole inizia “Lo straniero – un funerale”, l’adattamento firmato da Francesca Garolla liberamente ispirato a “Lo Straniero” di Albert Camus, capolavoro della letteratura del ‘900.
Uno spazio circolare, un grande specchio, mattoni bianchi tutti intorno a esso, una sedia, questo è lo spazio in cui Woody Neri si addentra, un uomo senza nome che si fa domande e pone domande, si interroga sull’omicidio di un arabo sconosciuto. “Di solito si conosce il nome del morto e non quello dell’assassino…” invece in questo caso sappiamo solo il nome dell’assassino, ma dell’arabo non sappiamo nulla. È possibile identificare questo gesto in modo più ampio? È possibile vedere questo omicidio come una casuale mossa di supremazia, così da definire l’arabo come l’Arabo, il rappresentante del suo popolo? Per chi ha letto il libro di Camus e conosce la storia sa che gli interrogativi posti vanno al di là del testo, tentano di cercare un motivo oltre l’apatia e l’indifferenza dell’assassino. “La morte di un arabo può meritare il nostro tempo?”
“L’unica morte che ci colpisce è quella di qualcuno che ci somiglia.”
L’uomo in scena deve raccontare, perché raccontando può forse trovare le risposte che cerca a domande enormi, incontenibili. Può essere stato davvero e solamente il sole a innescare quell’attimo in cui la pistola ha sparato quattro colpi e ha ucciso un uomo? Tutto questo per arrivare al “funerale” del titolo, quello dell’assassino, che non viene raccontato da Camus, si va oltre la sua scrittura per evocare ciò che è e rappresenta la sacralità, il tema di Dio.
“Sembra assurdo, ma a volte la morte è felice.”
Un monologo pieno di interrogativi e di riflessioni, di scavi all’interno dell’animo umano, pur rimanendo supposizioni. Un monologo che parla dell’uomo in quanto essere umano, che dovrebbe essere uguale a tutti gli altri, ma così non è.
La drammaturgia di Francesca Garolla insiste molto sul tema dell’umano, in certi punti risulta forse ridondante, ma la grande bravura di Woody Neri, capace di trasformarsi con la voce e con il corpo e la regia “viva” di Renzo Martinelli, che dà un contributo prezioso e di rilievo con i suoni eseguiti al momento, fanno risultare l’insieme accattivante e interessante. Un monologo che colpisce, che tocca tasti dolenti, di un uomo senza identità, ma che rappresenta ognuno di noi e un pubblico che, muto, guarda dentro se stesso.
In scena al Teatro i fino al 29 maggio 2019.
Roberta Usardi