Agnes: quando un figlio non ti rende necessariamente madre
Agnes (Voland, 2023, 288 pagine, Euro 18,00) è il romanzo con cui Viktorie Hanišová, scrittrice e traduttrice ceca, ha esordito nel 2015. Solo adesso arriva in Italia, con la traduzione di Letizia Kostner, accostandosi per tematiche a un altro suo romanzo, sempre edito da Voland, La cercatrice di funghi (ne abbiamo scritto qui).
“Perché è andato tutto così storto? Dov’è che posso aver sbagliato? È quello che si chiede una persona disperata il cui destino segue una traiettoria che non s’interseca con i suoi sogni dell’infanzia e della giovinezza. Una persona così crede scioccamente che dietro la propria tragedia personale ci sia un unico episodio nel corso del quale il suo destino si è aggrovigliato, deviando sulle rotaie sbagliate. Cerca di trovare legami logici nella propria disgrazia, convinto com’è che tutta la sua disgraziata vita si possa ricomporre in una catena di eventi collegati da un nesso causale. Crede che, potendo tornare indietro e cancellando un solo e unico episodio del proprio passato, il suo destino rientrerebbe nei binari prescritti.”
Julie ha un lavoro importante, un compagno con cui condividere passioni comuni, una bella casa. All’improvviso sente l’esigenza di un figlio, di quella maternità che fino a un certo punto ha tenuto a distanza, vedendo com’era stata vissuta dalla madre, facendone anche un atto culturale e quasi politico. Ma nel momento in cui quel desiderio insorge forte e chiaro, non abituata ad arrendersi e con l’abilità pratica che la contraddistingue, Julie si dedica alla pianificazione della propria maternità. Ne deriveranno una lotta insoddisfacente col proprio corpo, il sesso che perde il suo incanto perché legato alla sola funzione riproduttiva, e l’amore che svanisce. Julie trova allora il modo di adottare Agnes, una piccola rom che nessuno vuole e di cui nasconde le origini. Julie costruisce così una rete di bugie che finirà col soffocare lei, Agnes e il loro rapporto. Non aiutate da una società incapace di andare oltre gli stereotipi e i pregiudizi.
Un romanzo molto femminile, per le tematiche e per il modo in cui vengono trattate, per le figure non solo protagoniste, Agnes e Julie, ma anche per quelle di contorno. Gli uomini sono uno sfondo, un pretesto quasi a mandare avanti parti di narrazione. Un racconto che si snoda su due piani temporali: nel primo più recente, Agnes è fuggita e a narrare è Julie; nel secondo si ricostruisce quanto ha preceduto la scomparsa e la voce di Julie interviene solo raramente. Il tono resta invece in ogni caso asciutto davanti a questioni forti e delicate.
Hanišová racconta in modo molto sincero, qualcosa di molto reale: la distanza tra la maternità pensata/voluta e la maternità vissuta, non siamo davanti alla quint’essenza dell’amore, ma all’opposto estremo, in cui mancano protezione e riparo, soprattutto dell’adulto nei confronti del bambino. Agnes e Julie sono importanti l’una per l’altra, in un modo non convenzionale, non sano, mancano quella spontaneità e istinto verso l’altro di cui è fatto l’amore, l’amore senza menzogne. Sarà proprio la verità taciuta da Julie ad Agnes a portare allo sgretolamento totale non solo della loro relazione madre/figlia, ma anche delle loro stesse identità, che si perdono.
Il personaggio di Julie lascia emergere quanto di negativo può esserci nella maternità: l’isolamento, la gioia forzata rispetto agli altri per non sentirsi giudicati quando magari, a tratti, “crescere un figlio è una rottura pazzesca”. Più di tutto, Julie, che pure ha letteralmente fatto carte false per avere Agnes, ha dubbi sul fatto di poter accettare del tutto Agnes che non è nata da lei. Il fatto stesso che Agnes sia rom, è più un problema per lei che non per gli altri. A poco a poco emerge anche il punto di vista di Agnes, la storia dalla sua pelle. Una pelle in cui sta spesso scomoda, si vergogna senza sapere perché, si sente fissata come se fosse “un prodotto a poco prezzo e di bassa qualità”. Si sente in lotta con un avversario invisibile, che non può battere perché esiste solo nella testa di Julie. Julie vuole infatti un’ossessione da plasmare, ha un desiderio da placare. Non vede Agnes come una persona dotata di una sua autonomia, la vorrebbe come una bambola con cui giocare e fare quello che la aggrada. Arriva a pensare che preferirebbe cancellarla, che quell’estranea non stesse a casa sua. Un investimento fallito, merce difettosa. Julie ricomincerà a cercare Agnes quando l’avrà persa, “Agnes torna da me”, ma sarà l’ennesima espressione dell’unico amore di cui pare capace, quello pensato.
Laura Franchi