“Adesso posso scegliere – Dittature, identità e memoria nelle vite di quattro donne sudamericane” di Nadia Angelucci
Alla Feltrinelli di Roma nella Galleria Alberto Sordi, Nadia Angelucci ci ha raccontato, insieme a Melania Mazzucco, il suo nuovo libro “Adesso posso scegliere – Dittature, identità e memoria nelle vite di quattro donne sudamericane”, (Nova Delphi 2019, pp. 144, euro 12) in un incontro moderato da Francesca Casafina – accompagnata dalle intense letture di Serena Rossi – che ci ha introdotto nella memoria di quattro donne, in una narrazione letteraria che ci rende i vissuti di queste donne, attraversando le loro singole vite: fili che si intrecciano e sovrappongono tra memoria e identità, tra memorie che sono eredità pesanti e dolorose della dittatura dell’America Latina degli anni ’70, fili che non si spezzano e che – con le seconde generazioni – devono continuare necessariamente a tesserle, queste memorie.
Madri detenute a cui venivano sottratti i figli, afferma la Mazzucco, e ancora, cosa succede a queste donne dopo la scomparsa dei figli? È un mondo di vite che deve rimettersi di nuovo in piedi e lo possiamo ben capire attraverso queste quattro storie che l’autrice ha scelto di narrare. Come si fa a raccontare tutto questo? Come si fa a raccontare il dopo delle persone infrante e di come vogliono ricostruire il loro futuro? Come nasce un libro così piccolo e così profondo? E come ha fatto Nadia Angelucci a farsi raccontare e a ritrovare queste voci per raccontarle poi a noi? Attraverso la scrittura, senza ombra di dubbio. Un progetto vecchissimo che parte dagli anni ’90, continua nel 2003 con un’esperienza in Uruguay e arriva oggi fino a noi. Un percorso che, in ogni passo, ha visto un pezzo di storia e che prende atto della vita di quei figli che hanno vissuto nella dittatura e hanno dovuto “ricominciare a imparare”.
Chi sono queste donne?
C’è Mariana Ortiz, figlia del Negro, uno dei primi desaparecido. Sono trentamila gli argentini scomparsi durante la dittatura e ogni strada, ogni angolo di Buenos Aires – che nonostante tutto continua a brillare nei suoi colori e a ballare nella sua musica – ne è la testimonianza. Una sparizione nel nulla quella del padre di Mariana O., che vedrà una spiegazione solo molti, troppi anni dopo quando sarà restituito non solo come morto, ma anche come un torturato “non identificato”, perché “chi scompare non è morto, non ha una tomba”.
“La società ancora non riesce a riconoscere che nel crimine orrendo della desaparición c’è anche la morte di una coppia, di una famiglia, di un progetto di vita, di un amore.”
C’è Mariana Zaffaroni, la figlia di una coppia di desaparecidos, strappata via a diciotto mesi dalla sua famiglia nel 1976, per poi scomparire di nuovo nove anni dopo per continuare a fuggire, comprendendo “che c’è una parte della sua vita di cui non deve parlare con nessuno” e che la allontana dai veri parenti che le restano. Ma la sua nuova vita le basta, rifiuta quella reale, anche se “dentro di lei il conflitto è continuo e insanabile”.
C’è Matilde Ledesma, figlia di Seu Preto, che rivedrà libero dal carcere solo a sedici anni. Quelli dell’infanzia per lei e suo fratello Ernesto sono momenti duri, di paura, persecuzioni e continui cambiamenti, “appena gli altri genitori si accorgono di chi sono, vietano ai loro bambini di giocare con la figlia di un terrorista”.
C’è Sandra Rodríguez, testimone in prima persona, insieme ai suoi fratelli, del terribile sequestro del padre, che fa continuamente i conti con “la consapevolezza che niente sarà più come prima” nelle loro vite.
Alla fine di ogni racconto c’è una piccola biografia a testimonianza che queste donne sono persone vere e che tutto ciò che è loro accaduto non le ha sconfitte, ma si sono – ognuna in modo diverso – riappropriate della vita. E come loro, ci sono ancora tante donne e tanti uomini che hanno subito un trauma e un cambiamento forzato dopo la dittatura sudamericana, e non sono solo i figli di chi ha subito quella violenza, ma anche i figli di chi – quella violenza – l’ha coscientemente generata.
Marianna Zito