“Ada brucia”, l’amore malato raccontato da Anja Trevisan
“Ada brucia. Storia di un amore minuscolo” (Effequ, 2020, pp. 306, euro 15) è un libro graffiante, molto intenso, fin troppo facile leggere ma di cui è difficilissimo parlare. “Ada brucia” è un racconto intimo che ti permea fin dalle prime pagine e ha bisogno di tempi lunghi per essere metabolizzato. Un urlo soffocato che inquieta e ti lega. Un libro che parla di pedofila, reclusione e dipendenza. Un mondo ovattato degno di una favola nera.
Rino è un pedofilo, un uomo che intenzionalmente decide di privare una donna della gioia della maternità solo nove mesi dopo aver dato alla luce una bambina, Beatrice. Un uomo che in parte capisce la gravità del gesto che si appresta a compiere ma che decide di andare fino in fondo, perché sente che lui e quella bimba si appartengono e quella manina protesa verso di lui, quel fugace e innocente sguardo condiviso sembrano confermarglielo. Il rapimento avviene alla luce del sole, sotto gli occhi distratti dei compaesani che si ritrovano durante la festa patronale e, in un attimo, cala il sipario su quel paese. Tutti sembrano fermarsi, nessuno ha più certezze, ognuno resta chiuso nel suo personale “secondo me…”. Del resto chi sospetterebbe di un ragazzo che fino ad allora aveva mantenuto una condotta impeccabile? Chi accuserebbe una persona così vicina alla famiglia? È nell’anonimato che Rino è cresciuto fino a quel momento e sarà nell’anonimato che deciderà di muoversi in futuro. Rapendo quella bambina, Rino non la priverà solo della sua famiglia ma la spoglierà anche della sua identità. Da quel momento infatti Beatrice smetterà di esistere per diventare Ada. Ada che non sarà per lui né una bambina né tantomeno una figlia ma la sua compagna, coronando quel progetto di appartenenza a cui anelava fin dal loro primo incontro. Cresciuta con lui, come vuole lui, Ada non ha la reale percezione di cosa sia il mondo esterno. Crede di non poter uscire di casa perché i suoi piedini sono ancora piccoli e non ci sono scarpe adatte per lei e, senza scarpe, qualora dovesse uscire, brucerebbe. Vive così i suoi anni, in una casa isolata all’interno di un bosco, senza avere contatti con il mondo esterno, un mondo che solo Rino – anzi Bapu, così lo chiama Ada – conosce e da cui evidentemente sceglie di nascondersi. Ada, intrappolata nella sua gabbia dorata, non sarà mai davvero bambina e non imparerà a essere donna. Vive sospesa in una bolla nell’attesa di qualcosa che non esiste. Vivrà da bruco cercando di non diventare mai farfalla perché esserlo vorrebbe dire crescere, accettando di diventare anche deboli. E forse a Bapu le farfalle non piacciono. Vivranno per anni pensando di essere l’uno il mondo dell’altra. Sempre Ada e Bapu anche se Ada non ha potuto scegliere di vivere altrimenti. Sempre Ada e Bapu, fin quando non arriverà qualcuno pronto a scardinare le convinzioni di una giovane Ada, ora curiosa di vedere cosa c’è oltre gli alberi che circondano la casa in cui vive, ora impaurita di lasciare il nido in cui è cresciuta. Squarciato il velo di Maya, per Ada si prospetta un nuova vita ma sarà pronta per la normalità? Può esserci per Ada un mondo senza il suo Bapu? E cosa ne sarà di Rino? Come sarà per lui guardarsi dentro e scoprirsi fragile e malato?
Questi e mille altri interrogativi ci assalgono durante la lettura, dalla quale veniamo assorbiti fino all’ultima pagina. Tanti i punti di forza di questo libro, il primo scritto da Anja Trevisan a cui è andato meritatamente il Premio POP – Premio Opera Prima 2021 – capace di narrare in maniera impersonale una storia scabrosa, lasciando che sia il lettore a farsi la propria idea senza essere influenzato dal giudizio di chi scrive. Il registro usato, semplice e leggero, contrasta con la pesantezza dei temi affrontati. Molto apprezzato il tentativo da parte dell’autrice di scegliere le parole meno dolorose possibili per descrivere un amore malato, minuscolo e disturbante nella sua normalità. Ada brucia è un libro potente che vorresti chiudere e dimenticare. Spaventa il turbinio di sentimenti che ci accompagna, perché si è presi così tanto dalla narrazione da essere trascinati nel cuore della storia, dove per un attimo non vediamo più una vittima e un carnefice. Rino convince anche noi che quello è amore e ci svegliamo solo di fronte alle prove che Ada non è più in quella casa e allora sì, ci auguriamo anche noi che fuori da lì, Ada torni a essere Beatrice e riesca a vivere la vita che le spettava. L’epifania che ha Rino in una casa ormai vuota, lo porta a rivivere con la mente il suo passato, quando tutti crescevano e lui restava indietro senza che nessuno se ne accorgesse, quando piangeva da solo, steso sul letto, chiedendosi cosa avesse di sbagliato. Dovremmo provare sdegno ancora una volta per quest’uomo così solo al mondo, eppure, anche in questo caso, lo assolviamo per aver saputo offrire ad Ada l’unico modo che conosceva di amare. Per questo Rino è un pedofilo ma non sarà mai l’orco e Ada resterà per sempre la malattia e la cura.
Sara Pizzale