“Abbassa il cielo e scendi”: Giorgio Boatti racconta la malattia mentale
“Nella vita di un matto
tutto diventa immutabile e allo stesso tempo nulla è fisso”
“Abbassa il cielo e scendi” (Mondadori, 2022, pp. 257, euro 19,50) di Giorgio Boatti, affronta un tema davvero spinoso e occultato dalle istituzioni e da tutti, indistintamente. Se ne parla sottovoce, se proprio non se ne può fare a meno, si girano gli occhi dall’altra parte se per errore si dovesse incontrare un malato. Viene meno, la tanto carità cristiana al suo cospetto, quasi fosse una colpa esserne affetto. Ma il Bruno in questione potrebbe essere chiunque, anche il nostro adorato fratello, che con la sua intelligenza fa parlare di sé. Anche noi potremmo trasformarci in Bruno.
Il romanzo narra di cinquant’anni di storia d’Italia, spazia dal periodo della miseria del dopoguerra alla vigilia della Pandemia, attraverso la vita di Bruno e Giorgio. La storia è quella di Bruno, che vive nella sua follia, raccontata dal fratello Giorgio che – inizialmente a distanza e distratto dalla sua irruenta giovinezza – maturando, ne percepisce la tragica verità, in tutta la sua enormità. La vita di Bruno passa dal ruolo del bravo scolaro a quella del seminarista, al ruolo di custode di segreti militari durante il suo servizio militare, e ancora a quello di contabile al comune, fino a giungere a quello di malato di schizofrenia e cioè al ruolo di pietra scartata.
“Dei matti, una volta spariti dalle loro case, non se ne parla più. È come se fossero dei morti rimasti in vita, con l’unica differenza che per i morti facciamo altari, album delle fotografie, celebrazioni. Dei matti no: quelli sono morti da dimenticare al più presto.”
Lo scrittore ammette di vergognarsi, tanto da nascondere alla propria compagna la malattia di quel fratello che non le ha fatto mai incontrare.
“Dentro i pensieri di chi sta iniziando a impazzire non c’è posto per nessuno. A volte neppure per il diretto interessato. Quanto agli altri, per vicini che siano, possono solo guardare. “
La pazzia è difficile da capire, da accettare e da vivere, lo scrittore quando diventa consapevole dell’enormità della situazione, descrive con amarezza le vicissitudini di quel fratello così malato e con quella malattia così mal gestita e curata dalla sanità.
“In lui vi è più silenzio che parole, come sempre in ogni vero dolore. Naturale che non spieghi quello che gli sta succedendo. Non ci riesce proprio: chiedendogli di stendere ordinatamente i pensieri che gli corrono nella testa è pretesa assurda. Lo capiamo anche noi in casa. Accettiamo, sgomenti, il suo silenzio, e quel suo stare dentro un vivere in cui anche concetti semplici e quotidiani si fanno imprecisi. Nella vita di un malato tutto diventa immutabile e e allo stesso tempo nulla è fisso.”
Schizofrenia è la scissione della mente nel suo significato etimologico e nello specifico rappresenta la separazione delle funzioni mentali, è caratterizzata da allucinazioni uditive, deliri paranoidi e pensieri o discorsi disorganizzati. Uno scenario davvero complesso. Il malato è ossessionato dalle voci e dalle allucinazioni, tanto da vivere perennemente angosciato. Nel passato nei manicomi, i malati venivano trattati con l’elettroshock e il coma insulinico, poi si è passati all’utilizzo di farmaci neurolettici, che provocano acatisia e distonia acuta, nulla che possa curare realmente la malattia, come la contenzione che arbitrariamente viene utilizzata in alcune cliniche, senza che sussista una motivazione valida.
Questo romanzo rappresenta un inno alla consapevolezza. Tutto ciò che è descritto, affrontato è tangibile. Il linguaggio è profondo, tecnico ma umano. Amaro, rassegnato, mortificato. Bruno mendica al fratello la fine, chiedendo l’eutanasia. Vorrebbe spegnere le sue stelle, la sua vita luminosamente miserabile, sciaguratamente sublime. Il lettore, che vive in prima persona i terremoti che attraversano Bruno, finisce per galleggiare nel limbo. Anche chi legge, finisce per non udire più le voci e non vedere più allucinazioni … A un certo punto tutto si spegne, tutto si silenzia. L’immagine del mondo diventa sfocata, i suoni ovattati e pian piano anche la nostra piccola parte di schizofrenia emerge.
Marisa Padula