A vent’anni dal debutto “Radio Clandestina” splende come non mai
“Dico, se lì c’è una targa, appiccicata a quell’angolo di strada, vuol dire che là sotto qualcosa è successo. Però se nessuno te lo dice quello che è successo tu che ne sai? (…) Pensi che quella magari è una storia che a raccontarla ci vuole un minuto, magari anche di meno, e invece quando uno le sente, tra l’inizio e la fine, ‘ste storie incominciano quel giorno e non so’ finite mai.”
Trento. Lo scorso 23 marzo Ascanio Celestini ha riportato in scena uno dei suoi cavalli di battaglia, a due decenni dal debutto, nell’anniversario dell’azione partigiana di Via Rasella. È sul palco del Teatro Auditorium S.Chiara, infatti, che Radio Clandestina soffia sulle candeline (metaforicamente e non solo) in un’atmosfera resa speciale anche dalla concentratissima attenzione del pubblico in sala. Lo spettacolo ci cala fin dalla prima sillaba in un mondo sospeso, nella periferia del linguaggio e della memoria: una signora di bassa statura che non ha mai imparato a leggere e un uomo che dall’alto della sua infinita pazienza le spiega cosa è riportato sui cartelli di annunci immobiliari. Anche il nonno di lui, veniamo presto a sapere, si è trovato non di rado a dover spiegare agli altri cosa c’era scritto nelle lettere o sui manifesti, essendo stato uno dei pochi alfabetizzati in un quartiere popolare di Roma. Tra le molteplici cose da leggere e spiegare vi fu anche, ed è da qui che l’intreccio si fa serratissimo, il comunicato diramato dai nazisti la sera del 24 marzo 1944 a eccidio già portato a termine. Trecentotrentacinque respiri interrotti per sempre da un proiettile in testa in mezzo a una cava abbandonata, trecentotrentacinque vittime, alcune delle quali rimaste anonime fino alle più recenti identificazioni tramite analisi del materiale genetico. Risuonano interrogativi, brucianti per le coscienze di allora così come per le coscienze di oggi.
Vera e propria pietra miliare – e militante – del teatro di narrazione, Radio Clandestina prende le mosse dal lavoro di ricerca (circa 200 interviste) svolto da Alessandro Portelli e confluito nel libro L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria [I^ ed. Donzelli Editore, 1999]. Cuore pulsante di questa drammaturgia è dunque la storia di una città diversa da tutte le altre, popolata di voci e di facce segnate dagli eventi; una città che, divenuta capitale, ha vissuto sulla propria pelle la nascita di interi quartieri, le demolizioni, le leggi razziali, l’occupazione, i bombardamenti, le violenze perpetrate senza scrupolo dai fascisti e dai nazisti. Emergono forti suggestioni cinematografiche, talvolta citando direttamente film quali Roma città aperta di Rossellini (1945) e L’oro di Roma di Carlo Lizzani (1961) talaltra sottolineando dettagli che fanno tornare alla mente altre pellicole, come ad esempio l’escamotage di aggiungere una rotella (accade in una delle scene iniziali de Il federale di Luciano Salce, 1961) per aggirare il divieto tedesco alla circolazione in bicicletta.
Sono tanti i fili del discorso ma Celestini, come ogni volta, sa quando stringere e quando allentare le redini, avvicinando e allontanando l’inquadratura del racconto, rendendo perfettamente chiaro che la vicenda delle Fosse Ardeatine non è mai finita e che anzi occorre tenerla viva, preservando la verità storica senza manipolarne le parole né il significato.
Pier Paolo Chini