“A che servono gli uomini” fino al 6 gennaio al Teatro Quirino di Roma
Quando nel 1988 Iaia Fiastri scrisse questa commedia, musicata dall’immenso talento dell’indimenticato Giorgio Gaber, forse non immaginava l’impatto che avrebbe avuto trent’anni dopo sul pubblico. E già, perché “A che servono gli uomini” sembra una pièce scritta l’altro ieri, perfettamente compatibile con i tempi che viviamo oggi. Colpisce la tematica relativa alla donna, sempre più padrona del proprio destino e sempre più abbandonata dalla società italiana contemporanea, che sembra voglia farla regredire a cliché superati ormai da tempo, una dinamica non riscontrabile nelle culture anglosassoni e nord europee, ma non solo.
La scelta di partorire un figlio autonomamente, pratica all’avanguardia negli anni Ottanta e oggi, per fortuna, a portata di ogni donna (che se lo possa permettere economicamente) è il leitmotiv della commedia. La libera professionista Teolinda (una “story boarder” la definiremmo oggi), interpretata con bravura, naturalezza e gioiosità dall’ottima Nancy Brilli, è il prototipo della donna decisa ad affermarsi, che sfida la società italiana e le sue convenzioni, ancora oggi basate sul potere maschile. Teo si barcamena tra due uomini, uno è il vicino di casa, Giovanni Padovan (un superlativo Igi Meggiorin), il prototipo dell’uomo buono e sempre disponibile verso le esigenze della vulcanica vicina. Giovanni lavora in una “banca del seme”, da dove Teo sottrarrà la provetta numero 119 e partorirà un figlio senza il supporto di un uomo, “categoria”, quest’ultima, che l’ha fortemente delusa. Riuscirà, inoltre, a carpire a Giovanni il nome del donatore, Osvaldo Menicucci (Daniele Antonini, attore di talento e poliedrico), ma fino alla fine si alimenterà l’equivoco su chi sia il vero donatore, un gioco che vedrà coinvolto lo stesso Padovan (come va a finire non ve lo sveliamo).
A far da cornice (decisamente spessa e dorata) ai protagonisti della commedia, c’è la frivola modella Samantha (l’eccellente Giulia Gallone), che imporrà, con la sua prosperosità e apparente leggerezza, l’animo saggio e concreto delle donne. Divertente anche il personaggio di Markus, culturista e gigolò, mirabilmente interpretato dal bravo Nicola D’Ortona. Come collante di tutta la pièce troviamo il talento impareggiabile di Fioretta Mari, che riscopre le sue origini siciliane pungendo col dialetto come fosse il fioretto di Cyrano di Bergerac. Ma ciò che dà un grande dinamismo e una verve irresistibile allo spettacolo è l’inimitabile marchio impresso dalla regina della commedia-mélo, Lina Wertmüller, accolta in sala da una vera standing ovation del pubblico presente al Teatro Quirino, dove sarà in scena fino al 6 gennaio. La sua regia dona equilibrio e solidità a tutta la pièce, una maestria di cui sono capaci solo pochi grandi registi al mondo.
Adriano Sconocchia