“500 Chicche di Riso” di Alessandro Pagani
Sottile e impervia è la linea di confine tra una buona battuta e una volgare stupidaggine e non solo: difficile – diremmo difficilissimo – condensare in poche battute un pensiero molto spesso sagace, profondo e riuscire a travestirlo in leggera intelligente ironia. Così come il bravo scrittore o anche il bravo giornalista non è chi sfoggia un forbito fraseggio, ma chi è semplice e comprensibile nel narrare, chi si cimenta nella battuta deve saper spingere al riso con garbo, con eleganza, con stile.
La prefazione di Cristano Militello apre una prima finestra su quello che troveremo nel volume “500 Chicche di Riso” di Alessandro Pagani (96, Rue de-La-Fontanine Edizioni, euro 10) “…trovo singolare che uno che si chiama Pagani si rivolga a uno che si chiama Cristiano…” è già una battuta, una “chicca” che ci spinge al sorriso, è come un incipit maestoso, con i dovuti distingue è quasi il “chiamatemi Ismaele” di Melville.
“500 Chicche di Riso” non è solo e soltanto una raccolta di battute; insieme alle “chicche” ci sono anche i disegni il cui tratteggio contiene già in sé il sarcasmo e l’ironia presente in tutto il volume e che ci prende per mano in una lettura che di per se, per la natura del contenuto esce fuori da ogni regola, perché il libro di Pagani non ha un narrato da seguire, un assassino da scoprire, una lacrima da versare, si può leggere aprendolo a caso o saltellando qua e là secondo l’umore del momento o come suggerito dagli schemi mentali di ognuno, possiamo andare per valli o scalare montagne, seguire percorsi assolati o ventosi, senza incontrare mai la noia, senza uno sbadiglio. Possiamo interrompere in qualsiasi momento la lettura perché non si dovrà fare nessuno sforzo per riprenderla, non c’è una trama complicata da seguire né nomi di personaggi da ricordare, ma una monotonia quotidiana da colorare con chicche di sorriso, perché “i libri gialli sono finiti, sono rimasti i verdi, i rossi e i blu”.
Francesco De Masi