“Tito/Giulio Cesare” al Teatro Argentina di Roma
“Tito”
e “Giulio Cesare – Uccidere il tiranno”,
due capolavori tragici di Shakespeare, saranno sul palcoscenico del Teatro Argentina di Roma fino al 12 maggio.
In “Tito” sono dodici gli attori presenti sul palcoscenico (Andrea Bancale, Roberto Caccioppoli, Antimo Casertano, Fabrizio Ferracane, Martina Galletta, Ernesto Lama, Daniele Marino, Francesca Piroi, Daniele Russo, Filippo Scotti, Andrea Sorrentino, Rosario Tedesco), diretti da Gabriele Russo. Questa opera giovanile di Shakespeare segue le vicende dell’omonimo generale romano, tornato vincitore dalla guerra contro i Goti, con al seguito i prigionieri, tra cui la regina Tamora, animata da un sentimento di vendetta, e i suoi figli. A Roma Tito viene acclamato possibile imperatore, ma egli abdica in favore di Saturnino. Costui sposa Tamora, che, aiutata dal servo-amante nero Aron, genera una spirale di sangue e vendette. I superstiti figli della regina uccidono Bassanio, violentano Lavinia tagliandole poi mani e lingua, e infine fanno ricadere sui figli di Tito la colpa della morte del fratello dell’imperatore. Al termine della tragedia, Tito risponde a questi orrori uccidendo gli altri figli di Tamora e organizzando un orrido banchetto con i loro resti.
Il riadattamento di Michele Santeramo si caratterizza per un’alternanza di toni. Gli attori sembrano voler interrompere coscientemente la tensione patetica che la vicenda tragica potrebbe generare nel lettore. Eppure, scene come lo stupro di Lavinia, o il truculento banchetto di carni umane generano orrore e compassione, poiché rappresentante con un gusto cruento, eredità delle tragedie di Seneca. Forme di metateatro sono continuamente usate per infrangere la finzione scenica. Queste mirano a una forma di rovesciamento, a uno slittamento dal tragico al para-tragico. Basti pensare alla scena di apertura, quando, grazie a una sapiente scelta musicale, al lettore sembra di trovarsi già all’epilogo della vicenda e alla chiusa del sipario. Di particolare interesse è il personaggio di Tito, presentatoci come stanco della vita e intento a crearsi una sua dimensione appartata. Nella riuscita reinterpretazione di questa figura, tuttavia, si nota una forte eco pirandelliana, soprattutto nell’impossibile fuga dell’uomo dai ruoli familiari e dalla maschera imposta dalla pupazzata della vita.
La riscrittura del “Giulio Cesare – Uccidere il tiranno” si deve a Fabrizio Sinisi ed è portato in scena dalla regia di Andrea De Rosa con Nicola Ciaffoni, Daniele Russo, Andrea Sorrentino, Rosario Tedesco. La carica narrativa dell’assassinio è ridotta a un’interfaccia dialogica. Il delitto è ormai compiuto e lo scenario è cupo e minaccioso. I personaggi, diversi per estrazione e intenti, riflettono sull’accaduto, emergendo da botole sul palcoscenico, che ricordano le arche dantesche degli eretici. Interessante la capacità di dare un volto sfaccettato e connotato ai personaggi storici: Bruto, riflessivo, insicuro e dubitativo; Cassio, deciso e ostinato; Casca, parassita e vanaglorioso; Marco Antonio, ambiguo e contorto. Tale riscrittura preferisce dare scarso rilievo al discorso che Bruto tiene al popolo, vero cuore dell’opera, capolavoro di retorica e pathos. Si sofferma invece sulla battaglia di Filippi, presentata in maniera paradossale con uno scenario post-apocalittico.
“Tito” e “Giulio Cesare – Uccidere il tiranno”, un progetto contenente due rielaborazioni contemporanee di queste importanti opere shakespeariane, che rendono sempre più attuali temi cari al bardo, susseguendosi sulla stessa scena con l’intento di creare un continuum tra le tematiche tragiche e i giorni nostri.
Lorenzo Sardone